Ho cominciato con una pila di vari modelli di Macintosh LC (LC, LC II, LC III e LC 475), e la maggior parte del lavoro è sostituire i condensatori della scheda madre e dell’alimentatore.
Dopo aver sostituito i condensatori (“recapping”), controllo l’hard disk e il floppy drive; per quest’ultimo, dopo aver rimosso il grasso secco e lubrificato le parti in movimento, a volte è necessario sostituire l’ingranaggio di espulsione dei floppy. Si trovano in rete ricambi stampati in 3D di buona qualità.
La maggior parte dei dischi rigidi funziona ancora dopo 30 anni – per questi Mac, la capacità varia da 40 a 230 MB. Quando ho provato a attivare questo disco, ottenevo solo un “hardware error”. La scheda del drive non presentava evidenti difetti, così ho deciso di smontare il drive solo per capire cosa fosse successo… sapevo che non sarebbe stato recuperabile, ma mi è sempre piaciuto smontare le cose per vedere come sono fatte, fin da quando ero bambino.
Ho scoperto che entrambi gli anelli di gomma (non so se c’è un termine tecnico più specifico) che impediscono alla testina di sbattere sul metallo sono diventati appiccicosi e gelatinosi.
Anche il sottile strato di materiale spugnoso che separava la scheda dalla scocca in alluminio era diventato appiccicoso.
Ecco una vista più da vicino della gomma sciolta sotto il piatto del disco rigido:
Questa la placca metallica superiore della testina:
E, dato che il disco era completamente smontato, ho preparato la solita vista esplosa.
A parte un Atari VCS che mi avevano comprato i miei genitori più o meno nel 1982, negli anni ’80 non ho mai giocato su console: ho sempre preferito i computer. Da quando ho iniziato a collezionare – quest’anno cade il trentennale del mio “numero 1” – ho recuperato parecchie console dell’epoca; non ho mai giocato i primissimi titoli di Zelda su NES o SNES, ma dal Nintendo 64 in poi qualcuno l’ho finito e devo ammettere che mi sono sempre piaciuti.
Per quanto riguarda l’anno del titolo: la versione giapponese “Famicom” è uscita nel 1983, ma con una scocca completamente diversa dal NES; in Nord America uscì nel 1985 con un nome diverso e una scocca più adatta ai gusti occidentali (almeno secondo gli studi dell’epoca). In Italia arrivò ufficialmente nel 1987, distribuita da Mattel. Ho indicato quindi l’anno di uscita del modello riprogettato nel 1985.
Ecco la vista esplosa della console:
E la vista esplosa del controller:
L’unità inglese presenta “NES VERSION” sulla parte anteriore, mentre quella italiana mostra “MATTEL VERSION”.
Anche le etichette sul lato inferiore della console sono ovviamente diverse.
Ecco la scheda madre:
Sulla parte frontale ci sono due pulsanti per l’accensione e il reset, e due connettori per i controller; sul lato c’è una coppia di connettori RCA per il video composito e l’audio in mono. Sul retro ci sono l’uscita RF (antenna) e il connettore per l’alimentatore esterno.
Queste sono le cartucce che ho ricevuto con la console: The Legend of Zelda, Zelda II – The Adventures of Link, e i “soliti” Super Mario.
Per concludere, un’ultima foto con un effetto di trasparenza sulla parte superiore del case:
]]>Ci sono due versioni della scheda: una per il Macintosh SE del marzo 1987 con il floppy drive da 800KB, e una per il Macintosh SE FDHD in vendita da agosto 1989 con i floppy drive (FD) ad alta densità (HD) da 1,44MB.
La confezione includeva un foglio di carta che ricordava al tecnico di sostituire la scheda guasta con una identica.
I codici della lingua sono quelli che Apple utilizzava per tutto ciò che era localizzato (sistema operativo, manuali, tastiere, ecc.). “Z” era il codice per inglese internazionale, F per Francese, D per tedesco, T per italiano.
C’è un piccolo schema con una tabella che spiega come riconoscere le due schede: le differenze maggiori sono nelle ROM, controller del drive, e batteria.
Qui il PDF ad alta risoluzione.
ROM low: 342-0353; ROM high: 342-0352; disk controller: IWM 344-0043; batteria in linea.
Una batteria VARTA… orrore! Sarà rimossa a breve per evitare danni alla scheda.
Sua maestà il Motorola 68000. Non capita tutti i giorni di vedere dei piedini così brillanti!
Ecco il retro della scheda: ADB x2, floppy, SCSI, seriale/stampante x2, uscita audio.
ROM low: 342-0702; ROM high: 342-0701; disk controller: SIWM 344-0062; porta batteria.
]]>Questo Spectrum è il primo modello prodotto da Amstrad dopo aver acquistato il marchio Sinclair. Ecco la solita vista esplosa del computer:
La scheda madre:
Il layout della tastiera è inusuale: continuo a premere il tasto “break” ogni volta che ho bisogno di cancellare un carattere – chissà come mai.
Sul lato sinistro ci sono il tasto del reset e due porte joystick; in una classica mossa anni 80, le porte hanno una piedinatura proprietaria, solo per obbligare i clienti a comprare un joystick a marca Sinclair. Ovviamente aziende di terze parti produssero immediatamente dei semplici adattatori per poter usare i più comuni joystick di tipo Atari.
Porte sul retro: alimentazione 9V DC, espansione, RS232/MIDI, tastierino numerico, uscita antenna e uscita audio.
Per approfondire: Wikipedia, World of Spectrum
]]>Ho recentemente comprato questo computer al solito mercatino, che ho ripreso a frequentare con una certa regolarità. Ancora mi stupisco di come Olivetti abbia deciso di commercializzare questo computer quando i Commodore 64 e i Sinclair ZX Spectrum venivano ancora venduti in gran quantità. E non era neanche un prodotto progettato da Olivetti, ma solo un Thomson MO6 rimarchiato.
Mi sono successe tante cose negli ultimi anni; non ho più lo stesso tempo libero di una volta, ma mi manca pulire vecchie cose impolverate degli anni ’80 e scrivere sul sito. Perciò, anche se non è tra i miei computer preferiti, quando ho visto questo Olivetti Prodest PC 128 ho deciso di acquistarlo perché avevo voglia di dedicare un po’ di tempo al mio hobby preferito.
Piuttosto sporco, vero? Come al solito l’ho smontato ancora prima di provare ad accenderlo. Non ho notato alcun problema sulla scheda madre. E di sicuro non ho notato il condensatore di filtro sulla sezione di alimentazione. Conosco i RIFA ma questo era di un azzurro proprio carino vicino al trasformatore. Ecco la vista esplosa (ehm… un involontario gioco di parole):
Come potete vedere, il sistema è basato su una CPU Motorola 6809.
I disk drive erano piuttosto costosi all’epoca; per molti sistemi a 8 bit la cassetta era l’unico supporto abbordabile, e molti computer includevano un registratore. Il pulsante di registrazione era spaccato – sospetto che il venditore abbia “testato” ogni pulsante: “oh come mai questo non va giù… fammi provare con più forza… (SNAP)… guarda l’ho sistemato”. Ho usato un dremel per fare un buco su entrambe le parti del pulsante, poi ho inserito un pezzo di graffetta come rinforzo. Ho scambiato il pulsante di registrazione con quello di stop perché quest’ultimo non deve spostare alcun meccanismo e quindi non ha bisogno di una grande pressione per svolgere la sua funzione.
Non provate a rimuovere i tasti dalla parte superiore della tastiera, specialmente la barra spazio: rischiate di rompere i piccoli ganci che la tengono agganciata all’asticella di ferro. E state attenti a non ribaltare la tastiera, altrimenti tutte le molle potrebbero finire sotto il tavolo e potreste perdere cinque minuti a trovare le ultime due. Come avete supposto, ho quasi rotto un gancio della barra spazio e ho ribaltato la tastiera. Ho dovuto aprirla solo per rimettere al suo posto la barra spazio.
Guardando il lato positivo, almeno potete vedere com’è fatta dentro.
Ecco le due metà del computer dopo essere state pulite e riassemblate.
Sul lato destro sono presenti il pulsante di reset, un paio di porte joystick, l’uscita video RF e il connettore per la penna ottica.
Sul retro ci sono la porta A/V SCART, un’uscita audio mono, una porta stampante e un connettore di espansione.
Ma com’è pulito! È ora di accenderlo.
Ha funzionato al primo colpo, ma mentre stavo scrivendo un piccolo programma in BASIC ho sentito un rumore come se 10 zanzare venissero bruciate contemporaneamente da uno zapper in una notte d’estate, poi il fumo ha cominciato a uscire dalla scocca. Un fumo puzzolente, denso e unto. Spengo il computer, chiudo la porta, apro la finestra. Mi è già successo e so che devo agire in fretta se voglio che la puzza se ne vada in una settimana piuttosto che in un mese.
E così ho dovuto smontare e pulire tutto da capo. Riconosco i filtri RIFA, e adesso anche i WIMA. Era lì, alla posizione CP01.
Per ora ho semplicemente rimosso il filtro senza sostituirlo: non credo che userò questo computer molto spesso.
]]>A parte un “motore” diverso, il nuovo sito porta alcuni miglioramenti sia per gli utenti, sia “sotto il cofano”. Queste le principali novità:
Gli account sono stati migrati sul nuovo sito; tutti gli iscritti dovranno richiedere un reset della password al primo login (Accedi › Hai smarrito la password?) e cliccare il link ricevuto via e-mail.
Per quanto riguarda la privacy, il riassunto è questo: i dati di registrazione, i dati dei VIC inseriti e i cookie sono utilizzati esclusivamente per il funzionamento del sito; non c’è alcun tipo di profilazione o tracciamento.
Il nuovo sito è disponibile allo stesso indirizzo del precedente: cbmvic.net. Se non lo avete ancora fatto, iscrivetevi e aggiungete i vostri VIC! Più siamo, meglio è :-)
Se avete suggerimenti, aggiungete un commento o contattatemi.
]]>Per ogni modello è presente una descrizione, le varianti note, una breve scheda tecnica, la copertina del manuale e ovviamente una foto.
Registratori Commodore è disponibile gratuitamente in formato PDF nella sezione shop del mio sito in inglese.
]]>Quando nel 2016 stavo lavorando al libro sul VIC 20, riuscii a contattarlo attraverso una pagina dell’università di Glasgow in Scozia. Gli raccontai qualcosa sul libro che stavo realizzando, chiedendogli se era disposto a condividere un ricordo sulla stesura dei suoi libri distribuiti da Commodore. La sua risposta fu davvero gentile e includeva già i paragrafi che riportai poi nel libro:
Nel 1978 ero un professore di informatica (Computer Science) alla Strathclyde University, e uno dei miei compiti era quello di insegnare fondamenti di programmazione a un gran numero di studenti di scienza e ingegneria. A quei tempi avevamo un computer mainframe (ICL 1904A). I programmi dovevano essere punzonati su schede di cartoncino e sottoposti a chi gestiva il computer per essere processati. Poi (se eri abbastanza fortunato e non facevano cadere per terra le tue schede) potevi avere i risultati il giorno successivo.
A quel tempo inziavano a essere disponibili i primi personal computers. Potevano eseguire semplici programmi scritti in BASIC. Dopo averne provati alcuni, ritenni che il Commodore PET aveva alcune caratteristiche utili, e decisi di impostare l’insegnamento di base su queste macchine. Anche se alcuni colleghi consideravano i personal computer come giocattoli per bambini, riuscii comunque a convincere l’università ad acquistare e installare 105 Commodore PET.
Per insegnare la programmazione preferii evitare le classiche lezioni, preparando invece un testo da usare con le macchine. Aveva spiegazioni e problemi di difficoltà crescente, permettendo agli studenti di imparare secondo i loro impegni, senza frustranti attese per ricevere i risultati (avevano accesso alla sala computer in qualsiasi momento).
Commodore ottenne il mio testo, e decise che qualcosa di simile sarebbe stato utile per i loro computer VIC 20 e C64. Scrivere mi piaceva quindi cercai di negoziare un prezzo fisso, ma insistettero per pagarmi in base alle copie vendute.
Alla fine i libri ebbero un buon successo. Furono tradotti in molte lingue, e io fui pagato molto più di quello che mi aspettavo. Devo dire che Commodore è sempre stata una buona azienda con cui fare affari, e le macchine (per l’epoca) erano progettate davvero bene.
In un successivo scambio di e-mail, il Professor Colin (precisò in un post scriptum che “Mr. Colin” non era corretto se volevo rivolgermi a lui con un titolo) mi scrisse:
Sono sicuro che saprai che negli anni ’70 il BASIC non era tenuto in gran considerazione nei circoli accademici. Alcuni dicevano che non avrebbero mai assunto una persona la cui prima esposizione alla programmazione fosse stata il BASIC. Naturalmente erano discorsi senza alcun senso. Ho sempre paragonato il BASIC a una bicicletta: non è il mezzo di trasporto migliore per un lungo viaggio, ma è l’ideale per piccoli spostamenti.
Ricevetti l’ultimo messaggio dopo avergli spedito una copia del libro.
Caro Giacomo,
sono felicissimo di aver ricevuto il tuo libro sul VIC 20. E’ stato un gran piacere leggerlo, e mi ha fatto tornare in mente i ricordi di centinaia di ore seduto davanti a un Commodore, con il TV lontano abbastanza da non dovermi mettere gli occhiali mentre sviluppavo programmi. […]Ti ringrazio molto per il regalo, che occuperà un posto d’onore sul mio scaffale.
Con i migliori auguri,
Andrew
Grazie a lei professore, per la sua gentilezza e disponibilità.
]]>Il videogioco arcade Pong è considerato il primo videogioco di successo; fu sviluppato da Atari nel 1972, ispirato a sua volta dal gioco “Table Tennis” della console Magnavox Odyssey, la prima console casalinga commerciale.
In seguito uscirono sul mercato parecchi cloni di Pong, spesso commercializzati semplicemente come “Giochi TV”: il termine “console” non era ancora usato per definire questo nuovo tipo di gioco elettronico.
Parecchi di questi “Giochi TV” erano basati sul chip AY-3-8500 della General Instruments introdotto nel 1976, ed è il motivo per cui spesso differiscono nella forma ma hanno sempre gli stessi giochi. L’output è in bianco e nero, ma può essere colorato con un integrato di supporto.
General Instruments introdusse poi diverse varianti del chip, tra cui l’AY-3-8610 su cui è basata questa console Sportron.
La maggior parte di queste console utilizzava due paddle per i giochi con la possibilità di aggiungere una pistola/fucile (spesso da acquistare a parte) per un paio di giochi di “bersaglio”, mentre la console Sportron oggetto di questo articolo utilizza due joystick analogici per tutti i 10 giochi inclusi.
La scatola riporta “Licensed by Magnavox”: alcune console Magnavox Odyssey vennero infatti costruite attorno all’AY-3-8500 e all’AY-3-8600 di General Instruments; probabilmente il progetto della Sportron si basa sull’Odyssey 4000, che utilizzava appunto due joystick al posto delle versioni precedenti basate su una coppia di paddle. La scritta “Sportron” utilizza tra l’altro lo stesso font del nome “Odyssey” presente sulle console Magnavox.
L’Odyssey 4000 è stato commercializzato nel 1977; la console Sportron usa la versione successiva del “pong on a chip” (8610 al posto dell’8600); il datecode sull’integrato 8610 è 7834 (34ª settimana del 1978), e sull’integrato più piccolo 7830. La mia conclusione è che questo modello sia stato molto probabilmente venduto nel 1978.
Nella foto dello joystick si notano i due potenziometri per gli assi X e Y.
La scheda madre è molto semplice, ed è progettata attorno all’integrato GI. L’audio non viene passato al TV dal modulatore, ma direttamente a un altoparlante interno.
L’alimentazione può essere fornita da 6 pile da 1,5v oppure da un alimentatore esterno da 9v. Nel vano batterie erano ancora presenti le pile dell’epoca: la data riportata è 79-03, che potrebbe essere quella di scadenza o di produzione.
Il catalogo di General Instruments “GIMINI” del 1978 riporta tutte le informazioni tecniche sulle varianti degli integrati prodotti dall’azienda. Una versione in PDF di questo interessante documento è disponibile in questa pagina del sito Pong Story.
I 10 giochi sono quindi quelli previsti dall’integrato AY-3-8610:
Ho fatto una scansione del manuale e, dopo aver ripulito tutte le immagini eliminando le macchie di muffa e altri difetti, ho impaginato due versioni: una corrispondente all’originale (un pieghevole a tre ante) e una reimpaginata per essere stampata come un libretto di otto pagine.
Scarica: versione originale | versione booklet
]]>Fenner, fondata nel 1981, commercializzava prodotti elettronici di consumo (tra cui autoradio, lettori dvd, tv) di fascia medio-bassa. L’azienda è fallita nel 2012.
Ho comprato questo computer per una manciata di euro al solito mercatino che frequento una volta al mese, l’unico della zona; spesso torno a casa a mani vuote, ma ogni tanto la costanza viene premiata con qualche oggetto interessante, anche se mai particolarmente raro.
Il Fenner era solo un po’ sporco e impolverato, quindi come al solito è stato smontato, pulito, e fotografato.
La pulizia della tastiera è un po’ noiosa, ma ne vale sempre la pena. La differenza tra il tasto pulito e i tasti sporchi è notevole!
Non ho ritenuto necessario smontare completamente la tastiera dato che nessun tasto aveva problemi di funzionamento.
All’interno della scocca si nota la sezione di alimentazione, il modulatore RF e la scheda madre.
Di seguito la vista esplosa del computer:
L’unico “problema” del computer era il connettore del video composito parzialmente dissaldato, risolto semplicemente rifacendo la saldatura.
Non capivo cosa fosse l’oggetto in basso a destra, saldato con un cavo alla porta registratore e tenuto fermo con un po’ di silicone; ho chiesto aiuto all’amico Xad che mi ha spiegato che è il relè per il controllo remoto del registratore.
Sul lato destro del computer sono presenti due porte joystick e la porta stampante.
Sul retro invece c’è il connettore per il registratore, un bus di espansione, due RCA audio mono + video composito, e il connettore RCA per il collegamento all’ingresso antenna del TV.
Prova finale di funzionamento dopo aver rimontato tutto. Qui la schermata del BASIC che si presenta all’accensione della macchina.
]]>
Per riparare il cavo, l’ho semplicemente accorciato eliminando la parte rovinata, poi ho risaldato i quattro fili sulla scheda.
Ecco l’interno della pistola dopo la piccola riparazione.
L’ultima vite è sotto l’etichetta, quindi per smontare la pistola è necessario rimuoverla con molta attenzione. Per facilitare l’operazione l’ho scaldata un po’ con un asciugacapelli.
Per verificare la riparazione ho fatto una partita a Operation Wolf… funziona, ma purtroppo le mie ferite sono risultate mortali. Qui ho finito.
Approfondimenti: Light Phaser su segaretro.org | Giochi per Light Phaser su segadoes.com
]]>Comincio con la vista esplosa: se stampassi l’immagine originale in Photoshop a 300dpi, sarebbe alta 1,3 metri.
Potete vedere un dettaglio 1:1 della foto originale con un click sulla prossima immagine, a me piace il riflesso del gruppo di resistenze.
Ecco la scheda madre:
Nella prossima foto potete vedere la scheda processore e la scheda con i 16KB di memoria. L’Atari 400 è stato progettato sull’architettura del MOS 6502 come altri computer dell’epoca. La scheda processore contiene anche il chip GTIA: è quello con la sigla C014805.
La complessità costruttiva dell’Atari 400 rendeva i costi di produzione piuttosto alti: i componenti elettronici sono distribuiti su 4 schede differenti. Eccole tutte insieme:
Questa scheda, marcata “400 PWR”, include anche il connettore del bus seriale e il modulatore RF.
Mi piace il design di questa macchina, ma indubbiamente le tastiere a membrana sono sempre molto scomode da utilizzare.
L’Atari 400 aveva la possibilità di usare solo una cartuccia alla volta, mentre il fratello maggiore Atari 800 ne poteva usare due. A differenza di altri computer contemporanei, il BASIC doveva essere caricato da cartuccia.
Un’ultima foto del computer.
L’unico modo per visualizzare l’output del mio Atari 400 è quello di collegarlo a una mia vecchia TV Philips multistandard a tubo catodico. Il 400 ha solo l’uscita RF, perciò la qualità non è granché – ma almeno posso testarlo…
… e giocare!
]]>Numero di serie 13691.
Questo IBM 5100 era completamente “morto” quando l’ho portato a casa; con l’aiuto di un amico ho scoperto che un grosso filtro di linea sotto il monitor era in corto.
Dopo averlo eliminato, il 5100 ha iniziato a dare qualche segno di vita. Rimuovendo una scheda per volta, ne ho isolata una sicuramente guasta e sono inziati ad apparire caratteri casuali a schermo. Sfortunatamente non ci sono molte possibilità che questo computer venga completamente riparato – la maggior parte dei componenti delle schede sono proprietari e non documentati.
Il 5100 è stato uno dei primi computer portatili: aveva l’unità centrale, la tastiera, il monitor e una memoria di massa in un unico case compatto (compatto per l’epoca, ovviamente). Non mi dilungherò nei dettagli tecnici della macchina visto che ci sono parecchie informazioni sull’IBM 5100 in rete.
Ho disassemblato il computer per pulire i vari componenti; sotto i tasti era presente un foglio di materiale plastico che 40 anni fa probabilmente serviva a proteggere la tastiera da sporco e accidentali versamenti di liquidi, ma che nel tempo è diventato secco e friabile.
Ecco il circuito stampato della tastiera:
E questa è la parte superiore:
Un dettaglio dei tasti:
E il risultato finale:
Il piccolo monitor in bianco e nero da 5″:
L’unità a nastro interna:
A differenza dei PC moderni, ogni scheda aggiuntiva doveva essere posizionata nella giusta posizione. L’IBM 5100 veniva venduto in diverse configurazioni, e quello in mio possesso sembra essere una delle più complete: tutti gli slot sono popolati, con entrambi i linguaggi APL e BASIC oltre alla massima espansione a 64 KB di RAM – “Read/Write Storage” in termini IBM.
Qui sotto gli slot di espansione vuoti, e a seguire tutte le schede come nominate sul manuale.
Posizione A – I/O Cable Driver
Posizione B – Expansion Feature
Posizione C – BASIC ROS (sinistra) and APL ROS 3 (destra)
Posizione D – APL ROS 2 (sinistra) and APL ROS 1 (destra)
Posizione E – ROS Control
Posizione F – Base I/O
Posizione G – Controller
Posizione H – APL Supervisor Executable ROS (sinistra); BASIC, I/O, and Diagnostics Executable ROS (destra)
Posizione J – Display
Posizioni K, L, M e N – Read/Write Storage (16KB di RAM ciascuno)
Dopo aver rimosso la scocca superiore, il 5100 ha una cerniera sul lato che permette di aprirlo e accedere facilmente al sistema. Ecco una foto con tutte le schede al loro posto:
Ai giorni nostri siamo abituati alle icone e simboli grafici che descrivono ogni connettore o funzionalità del computer: tutti riconosciamo le icone USB o video, il simbolo per il wifi, e così via. Nel 1975 i computer non erano molto diffusi, perciò IBM preferiva localizzare più elementi possibili, incluse le etichette dei pulsanti o dei LED: il mio modello è italiano e IBM ha tradotto ogni parola, come ad esempio “reset” (che adesso usiamo tutti in inglese) che è diventata “ripartenza”.
I manuali che ho in inglese per questa macchina sono:
BASIC Introduction
BASIC Reference Manual
APL Introduction
APL Reference Manual
Maintenance Library Manual
User’s Catalog
Alcuni dei manuali includono uno o due nastri.
Tutti gli oggetti sono rimasti in una cantina per anni – probabilmente decenni – ed erano piuttosto sporchi. Le copertine dei manuali erano ricoperte di muffa, ma fortunatamente le pagine interne erano ancora in condizioni accettabili.
Insieme ai manuali in inglese c’erano anche tre manuali in italiano:
BASIC Manuale di riferimento
APL Introduzione
APL Manuale di riferimento
Aggiornamento 26 luglio 2019: ho finito di fare le scansioni di questi tre manuali, che potete scaricare cliccando sul titolo. Se li pubblicate altrove, un link a questa pagina (o al sito) è gradito ma ovviamente non obbligatorio.
Nella scocca superiore è presente un lungo foglio di plastica che riassume tutti i codici di errore del sistema.
“Portatile” per l’epoca ma decisamente ingombrante secondo criteri più moderni.
Ho fatto diventare trasparente la scocca superiore con due scatti sul treppiede e un po’ di magia in Photoshop.
Ecco un’ultima foto dell’IBM 5100 prima di rimetterlo a posto sullo scaffale. Uno degli scaffali più bassi, visto che pesa circa 25 Kg.
]]>La console sembrava non funzionare, ma è stato sufficiente pulire i contatti del connettore della cartuccia per far apparire la schermata iniziale del gioco.
La costruzione è molto semplice: scocca superiore, scheda madre e scocca inferiore.
A parte qualche graffio dovuto all’uso o alla scarsa cura con cui il venditore ha trattato questi oggetti (era in una scatola con sopra un walkman e qualche altra robaccia), il sistema era in buone condizioni e necessitava solo di una bella ripulita.
Sul retro sono presenti le porte audio/video, antenna e alimentazione.
Lo schema ricorda di inserire la scheda o la cartuccia prima di accendere la console.
Per approfondire la storia e i dettagli tecnici di questa console, consiglio l’articolo di Wikipedia in Inglese, molto più completo e preciso di quello in italiano.
]]>Grazie a Marco della pagina Facebook Olivetti Programma 101 sono riuscito a contattare Alessandro Graciotti, che seguì per Olivetti la progettazione dell’M24.
Graciotti, contattato inizialmente per ottenere qualche informazione sull’M21, mi ha confermato che quest’ultimo fu “un progetto prevalentemente meccanico fatto ad Ivrea (Pigoni) basato sull’elettronica dell’M24 sviluppata a Cupertino CA”.
A questo punto mi è sembrato più interessante chiedergli di raccontare la genesi dell’M24. Ho preparato una serie di domande, e Alessandro Graciotti mi ha gentilmente risposto con il testo che riporto di seguito. Alcune note in calce riportano precisazioni o chiarimenti che ho chiesto dopo aver letto il testo iniziale.
di Alessandro Graciotti
Sono entrato in Olivetti a Milano in via Camperio nel febbraio del ’68 con un diploma di perito industriale in telecomunicazioni. L’impatto fu abbastanza traumatico, in quanto il mio percorso di studi era basato sostanzialmente sull’uso analogico delle valvole termoioniche: la logica digitale mi era del tutto sconosciuta. Per mia fortuna ho avuto come maestro un colosso del progetto Olivetti, Gastone Garziera. Il suo capo era Giovanni DeSandre, che riportava a sua volta a Piergiorgio Perotto; praticamente il team geniale della P101 ha guidato i miei primi passi. I progetti a cui ho partecipato sono la P652, il P6060, l’impostazione iniziale della Linea 1.
Nel febbraio del 1981 ho lasciato l’Olivetti per fondare con Marini, Zappacosta e Borel la Logitech (che inizialmente si chiamava Politech).
Nel marzo del 1983, essendo la Logitech impegnata in un paio di sviluppi HW per Olivetti, incontrai casualmente Luigi Mercurio (allora responsabile della R&D) in un corridoio. Mercurio, che conoscevo sin dalla assunzione per essere stato insieme con il suo gruppo a Milano fino al ’74, mi disse di volermi affidare, non come consulente esterno ma come dipendente, lo sviluppo di un PC IBM compatibile da fare a Cupertino CA. Nell’aprile del 1983 rientrai in Olivetti lasciando la Logitech e restituendo agli altri tre soci la mia quota.
L’Olivetti Advanced Technology Center era un ufficio nato inizialmente come osservatorio sulla Silicon Valley; quando si cominciò a parlare con insistenza di home computers, l’Olivetti decise di avviarne uno sviluppo assumendo allo scopo un gruppo di progettisti americani guidati dall’ing. Bartocci con Giuliano Raviola presidente della OATC. Nacque così l’M20; finito lo sviluppo Bartocci tornò ad Ivrea, e i migliori progettisti migrarono verso società americane. Rimase in OATC un gruppo di ragazzi, per lo più cinesi, di scarsa esperienza e poca fantasia.
Questo gruppetto un po’ sgangherato è ciò che trovai una volta sbarcato a Cupertino verso fine aprile ’83. Oltre a Raviola, presidente della società, c’erano in Cupertino due personaggi di grande esperienza lavorativa: Giancarlo Bisone ed Enrico Bottega. Bisone era responsabile del Product Planning: in sostanza era il canale di comunicazione verso il commerciale Olivetti e generava le specifiche di prodotto. Nel caso dell’M24 tuttavia le specifiche furono generate da Mercurio stesso: compatibiltà totale, ma macchina migliore sotto tutti gli aspetti.
Non a caso il principale ruolo di Giancarlo inizialmente fu quello di tentare di affossare lo sviluppo del 1050 (questo era il nome del progetto) per comperare un clone che veniva offerto come progetto chiavi in mano (il Corona PC). Fallito questo tentativo si mise di lena a vendere le specifiche del progetto ai commerciali i quali dal canto loro cominciarono a chiedere CP/M86 invece che MSDOS e altre amenità del genere.
Il ruolo di Bottega era di interfaccia verso la produzione, allora diretta da Luigi Pescarmona.
L’uomo dell’avviamento produzione a Scarmagno era l’ing. Ortolan, persona verso cui nutro tuttora una grandissima stima. Purtroppo alla fine dello sviluppo una malattia che non perdona lo ha portato via.
Enrico, un omone gigantesco, considerava che il suo ruolo fosse quello di terrorizzare i miei cinesini alzando la voce nelle riunioni e sovrastandoli fisicamente.
Quando partii dall’Italia Mercurio mi disse con grande semplicità cosa voleva: compatibilità totale, velocità doppia e un video decoroso sia monocromo che a colori. Il mio ruolo sarebbe stato di “Technical Director”; di fatto fu di progettista, disegnatore, saldatore, collaudatore e viaggiatore (praticamente Mercurio mi voleva in riunioni a Ivrea una settimana sì e una no).
In Italia fu fatto lo sviluppo meccanico a cura del gruppo di Pigoni, persona che conoscevo dai tempi della 652. L’elettronica era completamente sviluppata a Cupertino, sbrogliatura degli stampati compresa. Per il BIOS avevo un paio di ragazzi americani che consideravano se stessi degli artisti: arrivavano in ufficio nel pomeriggio e si fermavano a lavorare la notte.
A parte una grande chiarezza di idee di Gigi Mercurio (fortunatamente il Capo), Ivrea durante lo sviluppo contribuì solo a fare confusione cercando non la compatibilità ma il suo opposto: l’idea che il cliente potesse acquisire parti, ricambi o accessori dal mondo esterno li terrorizzava.
La compatibilità con la macchina IBM era semplice da ottenere se facevi un clone: IBM forniva con ogni macchina un manuale che conteneva tutti gli schemi ed il sorgente assembler del BIOS. Completamente diversa la situazione volendo fare una macchina più potente: l’8086 invece dell’8088 e il controller video costituirono problemi non banali risolti con due brevetti specifici. [1]
Lo sviluppo durò circa un anno e per la mia esperienza fu lo sviluppo più veloce fatto in azienda all’epoca. Una volta andato in produzione cominciarono le critiche per non aver rispettato i calcoli di caso pessimo [2] considerati segno di professionalità: il progetto venne definito dagli uffici di Ivrea “alla marocchina”. D’altro canto Mercurio diceva giustamente che Olivetti era già in ritardo di due anni.
Lo strumento principe per la ricerca della compatibilità fu la prima versione del Flight Simulator allora disponibile su floppy e che girava senza il DOS: era micidiale, non c’era parte HW del PC che non venisse pilotata direttamente dal SW senza neanche l’intermediazione del BIOS. Infatti l’ostacolo più grosso, quando pensai di non avercela fatta, fu far girare il Flight Simulator sul controller video del 1050. La scelta della risoluzione 640×400 (impostata sin dall’inizio del progetto e molto elegante) dava una buona leggibilità alfanumerica – confrontabile con il monocromo IBM – e una bella risoluzione grafica, doppia del CGA IBM. La riconciliazione tra i diversi numeri di linea/quadro era fatta dal BIOS, tutti i programmi giravano bene tranne il FS.
Quando tutto mi sembrava perduto e stavo per chiamare Mercurio e dichiarare l’incompatibilità dell’M24 con FS (e quindi potenzialmente con altri programmi analoghi), mi venne l’ispirazione e trovammo la soluzione. [3]
Lo sviluppo del case fu parallelo a quello dell’elettronica e basato sull’idea di Mercurio che si dovesse puntare al minimo “footprint” anche a costo di avere una macchina più alta. Questa è la ragione dello strano kamasutra delle boards che formano una U.
Il coordinamento tra lo sviluppo meccanico ad Ivrea e quello elettronico a Cupertino era una delle ragioni per cui volavo avanti e indietro a ripetizione.
L’M21 era ovviamente la risposta al successo enorme del portatile Compaq e fu impostato nello stesso modo: prendi l’elettronica esistente e ci metti un CRT da 6 pollici sopra. Fu uno sviluppo di carrozzeria.
Finito l’M24 avevo usato talmente tanto il Flight Simulator che ho preso il brevetto a San Josè e ho cominciato a volare davvero. In quel periodo arrivò a Cupertino Massimo Ziliani al posto di Raviola e il gruppo rapidamente crebbe con l’assunzione di molti americani e l’arrivo di parecchi italiani.
Cominciammo allora due sviluppi, che considero ancora molto belli, e che anticipavano alcune caratteristiche che sarebbero poi diventate standard, uno basato ancora su 8086 ed uno su 286. [4] Purtroppo ad Ivrea, dopo che Mercurio aveva lasciato l’Olivetti, prevalse una tendenza di follower: la parola d’ordine diventò “ogni plus è una incompatibilità”. I due progetti arrivati allo stadio prototipale furono affossati per essere sostituiti da cloni acquisiti all’esterno.
A quel punto il mio rientro in Olivetti era finito; nell’86 tornai in Italia e poco dopo lasciai definitivamente l’azienda.
[1] Descrizione dei due brevetti:
Bus width adapter The present invention relates to a bus converter for use with a data processor adapted to operate with a wide data bus, for rendering the data processor compatible with external devices adapted to operate with the wide data bus and external devices adapted to operate with a narrow data bus.
In pratica, nelle parole di Graciotti, questo brevetto “riguarda la conversione da 16 a 8 bit del bus (8086 vs 8088) per mantenere la compatibilità delle boards add-on.”
Video Converter device The present invention pertains to the field of video displays and more particularly to a device that provides compatibility between a computer adapted for use with a first video display format defined by a first set of parameters and software originally designed for use with a computer having a second video format defined by a second set of parameters.
[2] Graciotti spiega che “il worst case design consiste nella verifica che, anche scegliendo per ciascun dispositivo di un sistema il caso peggiore possibile, il sistema rimanga all’interno delle specifiche. Molto usato in ambito professionale, era abbastanza trascurato nelle realizzazioni amatoriali quali gli home computers. Parte del progetto PC IBM era basato sul concetto “funziona” e violava tutti i principi della buona progettazione (basta guardare la definizione del bus per rendersi conto che il progetto NON era di derivazione sistemistica).”
[3] Il secondo brevetto sopra citato “traduceva al volo (in HW) i comandi diretti al CRT controller (un Motorola 6845) modificando i parametri del controller IBM (provenienti da programmi HW dependent scritti per il PC IBM) in parametri del controller Olivetti. Il meccanismo sfruttava l’organizzazione interna dei registri del 6845.”
[4] Ho chiesto a Graciotti quali fossero questi due progetti. “I progetti abortiti erano due PC molto compatti basati su gate arrays che integravano la logica compatibile realizzata in SSI TTL nel PC IBM e nell’M24. Avevano 5 plug per boards add-on invece di 8 ed usavano un cabinet molto bello realizzato in plastica internamente metallizzata anzichè in lamiera. Di lì a poco tutti i PC sarebbero stati basati su chip-sets ed avrebbero avuto un form factor di quel genere.”
Un computer su ogni scrivania: la Olivetti e i primi PC, Olivetti. Storia di un’impresa (Associazione Archivio Storico Olivetti)
Olivetti M24: quando l’hardware parlava italiano, Appunti Digitali
Lo standard [grafico] Olivetti (pdf) MCmicrocomputer maggio 1987, scansione a cura di Andrea De Prisco
]]>Avendo già smontato un Olivetti M24 qualche tempo fa, dal punto di vista tecnico avrei descritto l’M21 come un M24 con monitor integrato. Descrizione confermata da Alessandro Graciotti, progettista dell’M24: l’Olivetti M21 fu “un progetto prevalentemente meccanico fatto ad Ivrea, basato sull’elettronica dell’M24 sviluppata a Cupertino CA”.
Per chi è interessato ad approfondire la storia dell’M24, consiglio la lettura dell’articolo con il racconto di Alessandro Graciotti.
Il computer è stato per anni in una cantina; era piuttosto impolverato e ricoperto in alcune zone da muffa.
Probabilmente la tastiera non è mai stata pulita in tutti gli anni di servizio.
Quindi, per prima cosa, ho completamente smontato e pulito ogni componente del computer. Gli spazi all’interno sono piuttosto stretti: ci sono diverse viti che a volte sono facili da svitare ma creano qualche difficoltà quando devono essere riavvitate al loro posto.
I componenti sono identici a quelli dell’M24; l’unica differenza è l’assenza della scheda figlia con gli slot per schede aggiuntive. Al suo posto c’è un connettore a L con un unico slot, occupato dal controller per floppy e disco rigido.
Perfino il segnale video è prelevato dal connettore esterno della scheda video e portato al monitor interno con un cavo piatto.
La scheda madre ha una piccola differenza rispetto a quella dell’M24: sono saldati sulla scheda i connettori per la tastiera dell’M21, che non usa la porta esterna (anche se presente).
Dopo aver scattato la foto, per sicurezza ho dissaldato la batteria. A seguire la scheda video proprietaria (basata sul Motorola 6845, forniva una risoluzione di 640×400 pixel) e il controller del floppy e del disco rigido:
Il floppy drive da 5,25″ è prodotto da Toshiba.
Il disco rigido è invece un Nec, probabilmente aggiunto in un secondo momento visto che riporta la data del 1989.
Il monitor è monocromatico a fosfori ambra.
Le regolazioni del monitor:
La maniglia durante l’utilizzo scompare a filo della scocca esterna; la fascia che alza la parte anteriore del computer può essere richiusa durante il trasporto.
Sul retro del computer sono presenti la porta parallela e seriale; senza la scocca posteriore, si nota che il connettore per la tastiera è presente ma non è normalmente accessibile.
Con un paio di scatti su cavalletto, è possibile creare un effetto di “trasparenza” per far intravedere l’interno del computer.
Concludo la carrellata di foto con un altro scatto del computer pulito, rimontato e acceso. L’alimentatore non forniva i 12v, e la scheda madre non funzionava. In attesa che qualcuno più esperto di me possa darmi una mano a trovare e riparare i guasti, ho utilizzato i corrispondenti pezzi di un M24 “spaiato” (senza monitor e tastiera) che ho conservato proprio nell’evenienza che mi servisse qualche ricambio.
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Il controller originale giapponese (SCPH-1010) del 1994 era leggermente più piccolo dei modelli americani ed europei; in foto l’ultima revisione del modello europeo (SCPH-1080).
I due pulsanti dorsali hanno la stessa dimensione:
Il primo controller con potenziometri per un input analogico è stato l’Analog Joystick (SCPH-1110), commercializzato nel 1996. E’ piuttosto ingombrante e un po’ scomodo da utilizzare con i giochi che hanno bisogno di reazioni veloci; è più adatto con simulazioni arcade di corse o volo. Ace Combat 2 e 3 prevedono l’utilizzo di questo controller, su un totale di circa 40 giochi.
Il nuovo modo “analog” può essere attivato con un interruttore dedicato; tutti i pulsanti originali sono inclusi, qualcuno anche un paio di volte. Il pad digitale è posizionato sulla leva di destra.
Ci sono due pulsanti aggiuntivi sul dorso di ogni leva.
La leva di destra è praticamente identica allo joystick per PC QuickShot Skymaster.
Per avere un’idea delle sue dimensioni, di seguito l’Analog Joystick accanto al controller originale:
Presentato in Giappone nell’aprile 1997 (SCPH-1150), il controller Dual Analog fu disponibile nel resto del mondo più tardi nello stesso anno (SCPH-1180 negli USA e SCPH-1180E in Europa). Il controller è più largo di quello originale e le due impugnature sono più lunghe. Aveva tre modalità di utilizzo: digitale, analogico, e compatibile Analog Joystick.
I due stick analogici sono concavi e il pulsante “Analog” sporge dalla scocca, a differenza del più comune controller DualShock. La funzione di vibrazione era presente solo sul modello giapponese.
I pulsanti dorsali hanno dimensioni differenti; L2 e R2 hanno un bordo sporgente sul lato superiore.
Vennero aggiunti due pulsanti addizionali, L3 e R3, attivati premendo gli stick analogici. Dato che Wikipedia afferma che questi pulsanti furono introdotti con il successivo DualShock, ho fotografato la piccola scheda del mio Dual Analog (un SCPH-1180).
L’ultima revisione del controller PlayStation (SCPH-1200) fu commercializzata in giappone a fine 1997, e nel resto del mondo nel 1998.
La modalità di compatibilità Analog joystick venne rimossa, e furono apportati alcuni cambiamenti minori: impugnature più corte, il pulsante “Analog” un po’ incassato, i pulsanti L2 e R2 senza sporgenze.
La funzione di vibrazione è presente su tutti i modelli.
Wikipedia: Original controller · Analog Joystick · Dual Analog · DualShock
]]>Il PHC-25 è stato distribuito in Giappone nel 1982 e nel resto del mondo nel 1983, ma ci sono poche informazioni su questa macchina, per cui probabilmente non ebbe un gran successo – perfino Wikipedia fornisce solo una riga di descrizione insieme alle caratteristiche tecniche. Il sito francese phc25.com ha qualche informazione in più. Dato che ho ricevuto questo computer in un lotto di oggetti che ho comprato da eBay Francia nella primavera del 2015, e che le foto su google hanno tutte l’adesivo “ordinateur individuel”, deduco che il PHC-25 abbia avuto un seguito di utenti in quella nazione. Negli Stati Uniti la serie PHC è stata presentata al pubblico al Winter CES di Las Vegas nel 1983 [1], al prezzo di 264$ [2].
Il PHC-25 è il più potente nella famiglia di tre prodotti, dove gli altri due erano il PHC-10 e il PHC-20. Basato su un processore NEC compatibile con lo Z80A, all’avvio il computer chiede quale modalità grafica utilizzare; la RAM disponibile all’utente dipende dalla scelta eseguita.
Ecco la vista dall’alto e posteriore del computer:
Per contenere le dimensioni del computer, la scheda madre è divisa in due strati, connessi da un cavo piatto.
Come si può vedere nella vista esplosa, la tastiera è piuttosto semplice – ci sono solo i tasti e gli elementi in gomma.
Purtroppo il computer ha smesso di funzionare poco prima di pubblicare l’articolo, per cui non sono riuscito a fare una foto con la macchina accesa collegata alla TV. Chiederò a un amico di darmi una mano nella riparazione nei prossimi mesi.
[1] InfoWorld magazine, 31 gennaio 1983
[2] Collectible Microcomputers di Michael Nadeau, 2002
Commodore VIC 20: A Visual History è un libro sul computer con cui Commodore esordì nel mercato “casalingo”, e tutte le sue periferiche. Il VIC 20 fu il primo home computer a colori a costare meno di 300$, il primo a vendere un milione di unità, il primo ad avere un modem a un prezzo inferiore ai 100$, e il primo approccio al computer per un’intera generazione.
Il libro, con la prefazione dello “zar del VIC” Michael Tomczyk, riporta alcuni contributi di Tomczyk a di altre persone che hanno lavorato al lancio del VIC 20: i “VIC Commandos” Andy Finkel, Neil Harris, Eric Cotton e Sue Mittnacht, e Andrew Colin – autore della serie “Introduzione al BASIC”.
La prima metà del libro mostra tutti i modelli e le revisioni del VIC 20, dal VIC 1001 giapponese al VIC 20 “cost reduced” venduto in tutto il mondo; sono presenti le foto di tutte le periferiche che Commodore commercializzò per questo computer come lettori floppy, stampanti, il VICmodem, espansioni, joystick e paddles.
La seconda parte del libro presenta tutti i giochi Commodore su cartuccia, con scansione della copertina, descrizione e schermata. Le scansioni sono state corrette per rimuovere il naturale scolorimento degli inchiostri e l’ingiallimento del cartoncino (tutti i giochi hanno oltre 30 anni); ogni graffio è stato rimosso per presentare le copertine nel loro splendore originale. Alcuni giochi mostrano anche un’immagine a doppia pagina, dove i testi sono stati pazientemente rimossi in Photoshop per rivelare la bellezza dell’illustrazione.
Il libro è in lingua inglese.
Maggiori informazioni e opzioni di acquisto sul mio sito inglese oldcomputr.com.
Il libro (copertina rigida) · Edizione in PDF
Di seguito il vecchio contenuto dell’articolo (i link sono stati rimossi in quanto obsoleti).
Dopo aver ragionato per mesi su questo progetto, ho finalmente lanciato la campagna su Kickstarter per finanziare il mio libro sul Commodore VIC 20.
L’obiettivo della campagna, fissato in 20.000€, prevede la stampa di circa 500 copie del libro tra italiano e inglese. In questa prima giornata di campagna sono arrivati i primi backers, le domande da kickstarter, i commenti su facebook, un insieme di emozioni davvero elettrizzante.
Questa è l’introduzione che ho pubblicato su Kickstarter, se siete interessati al libro potete leggere la descrizione completa sul sito.
Commodore VIC 20: a visual history è un libro sul computer con cui Commodore esordì nel mercato “casalingo”, e tutte le sue periferiche. Il VIC 20 fu il primo home computer a colori a costare meno di 300$, il primo a vendere un milione di unità, il primo ad avere un modem a un prezzo inferiore ai 100$, e il primo approccio al computer per un’intera generazione.
Molti libri celebrano l’ancor più diffuso Commodore 64, ma ritengo che sia ora di dedicare un po’ di attenzione anche al suo fratello minore!
“A visual history” (letteralmente “Una storia visiva”) non significa che non ci sarà alcun testo: ogni capitolo avrà un’introduzione, e la maggior parte delle foto avrà una didascalia. “Visual” significa che le immagini sono ciò che renderà speciale questo libro.
Commenti e suggerimenti sono molto graditi :-)
Spargete la voce!
La campagna non ha raggiunto l’obbiettivo economico fissato; entro fine maggio lancerò una nuova campagna, ma molto probabilmente il libro non sarà disponibile in italiano.
La nuova campagna per il libro (in inglese) inizierà lunedì prossimo 30 maggio! Nel frattempo ho preparato un video “teaser”… o forse dovrei chiamarlo iTeaser?
La nuova campagna è iniziata! Contribuite e condividete :-)
Grazie al sostegno dei backer della prima campagna, l’obbiettivo per la realizzazione del libro è stato raggiunto in un giorno!
]]>Il Quadra 950 era il Macintosh più potente ed espandibile tra quelli con il processore della famiglia 68000: un processore 68040 a 33Mhz, fino a 256MB di RAM, 5 slot di espansione NuBus. Fu superato in velocità solo dal Quadra 840AV, con un 68040 a 40Mhz, poi Apple passò ai processori PowerPC. Per facilitare la transizione, per un breve periodo Apple commercializzò una scheda di aggiornamento a PowerPC – presente su questo computer – da inserire nel connettore PDS (Processor Direct Slot).
Ringrazio anche Carlo Santagostino che ha ritirato il materiale e me l’ha tenuto da parte.
Questo Mac funzionava correttamente, l’ho semplicemente pulito a fondo e ho revisionato il lettore floppy.
Ho incontrato Davide e sua moglie all’inizio di quest’anno in occasione di una loro visita ad Aquileia, purtroppo (per la loro gita) in una giornata di pioggia.
In entrambi i Mac il disco rigido non funzionava. Quello del Macintosh SE sono riuscito a farlo ripartire sbloccando le testine con un colpo gentile al disco, mentre l’altro è decisamente KO e quindi è stato sostituito con un disco più recente e capiente – finché dura. I dischi SCSI adatti a queste macchine sono ormai fuori produzione e le soluzioni SCSI > SD o CF sono decisamente più costose rispetto ai rispettivi adattatori IDE. Ho rimosso le batterie che fortunatamente non avevano fatto danni; i due piccoli Mac funzionano quindi correttamente, sono solo un po’ ingialliti.
Come sempre ho smontato completamente le due macchine per poterle pulire. Ecco il Macintosh SE…
…e il Macintosh SE/30:
Il portatile Zenith non ha grossi problemi a parte la batteria esaurita, che fortunatamente ha solo danneggiato i contatti tra batteria e scheda madre. Una volta impostate le caratteristiche del disco nel BIOS, si avvia correttamente quasi sempre… a volte Windows 95 non riconosce correttamente la scheda grafica, ma avviandolo in modalità sicura funziona; si tratta molto probabilmente di un problema software.
Ringrazio l’amico Alberto che ha recuperato il materiale e me l’ha portato quando è passato dalle mie parti. Entrambe le macchine erano molto sporche, ma mentre il 9600 è completo e funzionante, il Quadra è piuttosto malmesso e mancante dello sportello laterale.
Pubblico una foto dello scheletro in metallo del 9600, non proprio facile da smontare. Il 9600 è una delle ultime macchine con processore PowerPC della famiglia 604 prima del passaggio ai G3.
Purtroppo la scocca del portatile è completamente rovinata dall’acido delle batterie, ma dopo un’accurata pulizia il computer arriva a eseguire il boot fino alla schermata del BIOS. C’è ancora speranza :-)
Tutti i pezzi sono in ottimo stato e perfettamente funzionanti.
Il 7300 e il monitor da 17″ sono in buono stato e funzionano senza alcun problema. Il G4 purtroppo è senza disco rigido e l’alimentatore è guasto; il Cinema Display è un po’ “stanco” per l’uso prolungato ma funziona ancora egregiamente, ed è perfetto per essere accoppiato a un G4 dell’epoca con connessione ADC.
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